A cento anni di distanza dalla fine della Grande guerra è difficile immaginare l’impatto sociale e economico  del conflitto su Milano. Tuttavia alcuni dati possono illustrare lo sforzo delle istituzioni pubbliche e private e i mutamenti profondi intervenuti durante la prova bellica, soprattutto dal punto di vista demografico. Oltre infatti a una consistente (e ovvia) diminuzione dei matrimoni, si registrò un calo (altrettanto scontato) delle nascite e un graduale aumento delle morti che raggiunse il suo dato più alto nel 1918 a causa della pandemia spagnola. Ciononostante la città registrò un aumento consistente della popolazione residente; dai pochi più dei 600.000 abitanti del 1911 si passò negli anni di guerra a oltre 700.000.

Evidentemente le possibilità di impiego nell’industria e nei servizi legati alla mobilitazione bellica avevano attirato molti lombardi (e non solo) nel capoluogo meneghino. L’incremento significativo della popolazione milanese non attutì comunque l’enorme impatto sociale prodotto sulla città dall’arrivo di oltre 100.000 persone. Tra emigrati italiani rimpatriati nell’estate del 1914 dagli stati europei in guerra e i profughi provenienti dalle zone del fronte soprattutto dopo Caporetto, Milano ospitò una numero di migranti pari o superiore a un settimo della sua popolazione.

Una prova dunque difficilissima che rimarrà quasi un unicum nella storia milanese. Naturalmente, il costo fu anche di carattere economico. Le spese effettive sostenute dal solo Comune di Milano aumentarono costantemente in termini assoluti passando da 61 milioni di lire nel 1914 a quasi 94 milioni a fine guerra. Come sostenne il sindaco Caldara il conflitto pesò complessivamente (cioè scorporando le spese correnti) sulle casse pubbliche milanesi per quasi 85 milioni. L’assistenza straordinaria offerta alle categorie più deboli non alleggerì comunque le pesanti condizioni economiche delle famiglie che nel corso della guerra dovettero affrontare il progressivo costo della vita.

L’inflazione infatti negli anni bellici e in quelli successivi comportò un progressivo aumento dei prezzi dei beni di consumo anche più elementari. La smobilitazione bellica e dell’industria pesante seguita alla fine del conflitto avrebbe aggiunto ben presto altri motivi di preoccupazione sociale. Come nel resto dell’Italia, Milano avrebbe dovuto fare i conti con l’aumento della disoccupazione e il generale impoverimento della popolazione.

Gli interventi durante la conferenza:

Curatrice della mostra

“Centro nevralgico della vita nazionale sin dai primi anni dell’Unità d’Italia, Milano svolse un ruolo fondamentale nel corso della Grande guerra. Piazza politica essenziale tra l’estate del 1914 e il maggio del 1915, quando interventisti di ogni corrente e neutralisti elessero il capoluogo lombardo a palcoscenico privilegiato della loro azione di propaganda, Milano rappresentò nel corso del conflitto una retrovia essenziale da molti punti di vista. Alla storia complessa e drammatica della città è dedicata la mostra “Milano e la Prima Guerra Mondiale. Caporetto, la Vittoria, Wilson”. Nel breve ma denso biennio che iniziò con la rotta di Caporetto, quando arrivarono in città i profughi delle terre invase, e che terminò con la visita del presidente americano Woodrow Wilson, Milano sperimentò gli aspetti più importanti (e gli effetti più devastanti) della prima guerra moderna. Articolata in otto sezioni, la mostra ripercorre infatti i primi anni del conflitto, le ricadute dell’esodo delle popolazioni delle zone di guerra, la propaganda patriottica e la contropropaganda socialista, la mobilitazione industriale del milanese, soprattutto la complessa rete dell’assistenza che i comitati cittadini e l’amministrazione socialista del sindaco Caldara riuscirono con enorme sforzo a offrire ai civili e ai militari. Nel ripercorrere la storia della città nel frangente drammatico del biennio 1917-1919, il percorso espositivo cerca anche di illustrare la difficile elaborazione del lutto che colpì la città con la morte di quasi 10.000 concittadini e il primissimo difficile dopoguerra politico. Con la trionfale visita di Wilson del 5 gennaio 1919, ultimo rito di pacificazione nazionale, e il contestatissimo discorso del socialista Leonida Bissolati alla Scala, di pochi giorni dopo, si chiudeva un ciclo e se ne apriva un altro che confermava il ruolo di laboratorio politico nazionale di Milano”.

Comitato scientifico della mostra

“Durante la Grande Guerra Milano ha dato prova delle sue notevoli capacità organizzative ed insieme delle sue grandi doti di umanità e di solidarietà. Fin dall’inizio del conflitto fondamentale è stato il ruolo esercitato dall’Amministrazione comunale del Sindaco socialista Emilio Caldara che, superando le iniziali contrapposizioni tra neutralisti e interventisti, ha saputo unire tutte le forze politiche e sociali cittadine nell’encomiabile opera dell’Assistenza civile. Ma è stato soprattutto dopo Caporetto che Milano è stata di esempio per tutta l’Italia, accogliendo migliaia di profughi delle terre invase e preparandosi a resistere all’invasore, nello spirito delle Cinque giornate. Caldara potè quindi salutare nella vittoria il compimento dell’unità nazionale e l’avvento di un’autentica e giusta pace, secondo i principi del presidente Wilson, che venne infatti accolto a Palazzo Marino come il paladino del Mondo Nuovo che si sperava potesse nascere dalle rovine e dagli eccidi della guerra”.

Ex Sindaco di Milano

“Nel 1915 la lista socialista guidata da Filippo Turati otteneva 64 degli 80 seggi del Consiglio comunale milanese. Gli altri sedici andarono ai liberali e ai conservatori.
La sindacatura, dapprima, fu offerta a Luigi Majno, anziano e autorevole avvocato socialista, il quale, tuttavia, non accettò. Allora, venne proposto Emilio Caldara, avvocato, esperto nelle questioni amministrative, consigliere comunale già nel 1899, fondatore e segretario dell’Associazione dei comuni. Nella campagna elettorale, lo scontro era stato duro. Alle parole del Corriere della Sera: “Non si amministrerà per tutti, ma soltanto per il proletariato rigorosamente socialista.” rispondeva, Benito Mussolini, ancora direttore dell’ Avanti! che proponeva di condannare il Re all’ostracismo dal Comune di Milano: “Si sappia che se S.M. Vittorio Emanuele avesse idea di venire a Milano, troverà il portone di Palazzo Marino solidamente sprangato.”
Emilio Caldara era un profondo conoscitore delle norme e dei meccanismi comunali e con Filippo Turati, Ugo Guido Mondolfo, Alessandro Schiavi, Luigi Veratti, Paolo Pini, aveva elaborare un programma che venne accolto senza critiche anche dalla parte massimalista. Gli obbiettivi più rilevanti erano la politica sociale e il rilancio delle opere pubbliche. Per i socialisti, il Comune doveva garantire sussidi ai disoccupati, ma contemporaneamente procurare posti di lavoro. Doveva calmierare i prezzi dei generi di prima necessità e promuovere l’edilizia popolare. Doveva rendere equa l’imposizione tributaria, con l’imposta sulla proprietà “che dalle opere del Comune ha avuto maggiori vantaggi”. Non erano dimenticate le “municipalizzazioni”: già attuata quella dell’energia elettrica, veniva auspicata quella del gas, che però non si fece, e quella dei trasporti pubblici, che si attuò nel 1916.

Durante la guerra, la solidarietà.
Il programma dovette subire tuttavia dei cambiamenti, per la partecipazione italiana alla guerra. Il Psi, era contro l’ingresso in guerra e Caldara non faceva eccezione. Quando Mussolini, che era stato eletto consigliere comunale, scrisse il suo articolo per la “neutralità attiva” a favore dell’intesa anglo franco,russa, contro l’Austria e la Germania, si apri un periodo di profonde fratture nella società italiana e all’interno dello stesso Partito. I socialisti della corrente “turatiana” rimasero fedeli alla neutralità, ma non nascosero la loro disponibilità per la difesa dei confini della Patria. Caldara intervenne, nel novembre 1914, per attenuare i provvedimenti disciplinari della direzione del Psi contro Mussolini, che fu espulso, ma non si discostò dal neutralismo. Milano divenne l’epicentro delle manifestazioni interventiste, che presero di mira anche il sindaco e la giunta. La politica del primo cittadino socialista e della sua amministrazione, dopo l’entrata in guerra, sul piano dell’assistenza fu poi sufficiente da far mutare l’atteggiamento del Corriere e di una parte dell’opposizione: “Nessun’altra città italiana fece per l’assistenza alcunché di confrontabile e l’esempio di Milano ebbe un considerevole significato di volontà, di forza e di generosità” (L.Albertini, Vent’anni di politica italiana, Zanichelli, Bologna, 1950-53).
Gli aiuti ai profughi, che arrivavano a Milano, e alle forze armate, furono organizzati da un Comitato di assistenza, che aveva il compito di dare destinazione ai fondi raccolti.
L’Ufficio per l’assistenza economica, cosiddetto ”Ufficio l”, alle famiglie dei militari era presieduto dal Sindaco stesso. Un altro ufficio (l'”Ufficio II”) per i bambini bisognosi, vide la partecipazione di un gran numero di volontarie e volontari e l’intervento della Società Umanitaria.
L ‘”Ufficio III”, per il “collocamento e soccorso dei disoccupati residenti da un anno e ricovero e sussidio a profughi e rimpatriati”, continuò in altra forma l’attività dell’ufficio municipale del lavoro, che era. stato uno dei primi atti della Giunta Caldara, utilizzando la collaborazione di industriali e commercianti.
Vennero create altre sezioni: quella che tutelava gli interessi economici e personali dei militari, con supporto legale gratuito, assistenza morale ai feriti e convalescenti (Addio alle armi di Ernesto Hemingway!); assistenza sanitaria e aiuti ai militari al fronte; assistenza straordinaria ai danneggiati dalla guerra, tra cui i ciechi e gli orfani.
Dopo la rotta di Caporetto la Giunta diffuse un manifesto, che senza tradire il neutralismo, si schierava a difesa della patria nel momento difficile: “Se è vero che l’invasore conta sullo scoramento del popolo nostro, voi, cittadini della città generosa, in cui più si urtano i contrasti ideali, mostrate che esso ha fatto un calcolo sbagliato, e date esempio ai fratelli d’Italia di calma, di fiducia perché più facilmente il nemico sia ricacciato, più presto rifulga la pace e la giustizia imperi sui popoli.” Negli ultimi mesi di guerra – dopo Caporetto, ndr il Tenente generale del Comando del Corpo d’armata di Milano solleciterà, pur con tutte le cautele del caso, il Prefetto, a coinvolgere il sindaco socialista… “sarebbe pur sempre un bel risultato se si potesse attrarre a manifestazioni in favore, se non della guerra, almeno della resistenza e della necessità della vittoria…”(Alceo Riosa – Milano in guerra 1914-1918 Edizioni Unicopli, 1997). Nel 1919 sfidando parte dell’opinione pubblica organizzò i “treni della fratellanza” per dare aiuto ai bambini di Vienna colpita dalla carestia. L’iniziativa assunta anche in altri paesi europei diede origine tra l’altro all’associazione Save the children.

L’amministrazione socialista non si limitò all’assistenza
Se il clima particolare della guerra consentì al “socialismo municipale” di mettere in luce le capacità dei suoi uomini sul terreno della assistenza e di ottenere l’apprezzamento e l’appoggio da settori dell’opposizione e dell’establishment, cittadino, l’azione della Giunta Caldara non si fermò a questi risultati. Venne data vita all’ Azienda consorziale dei consumi per “togliere alla speculazione il rifornimento dei generi alimentari di più ampio consumo” (latte, pane, olio, scarpe, vestiti, legna, carbone ecc.) che fu molto gradita dai cittadini di tutte le tendenze, malgrado l’ostilità di una parte degli esercenti. Attuò la municipalizzazione dei tram, approfittando della scadenza, nel 1916, della concessione alla Edison: in quell’epoca il passaggio alla gestione comunale di alcuni servizi significava trasferire gli utili d’impresa dai privati all’ente pubblico. La politica assistenziale, come servizio sociale, continuò oltre la guerra e fu un vanto del Comune di Milano. Venne istituito il servizio farmaceutico comunale. Le intuibili difficoltà di quel periodo storico non portarono alla cancellazione degli impegni nel campo dell’istruzione. Furono costruite molte Scuole elementari e scuole “speciali” per i portatori d’handicap. Attivò a conclusione la pubblicizzazione del Teatro alla Scala, con la costituzione dell’Ente Autonomo, il cui primo direttore fu Arturo Toscanini. Le grandi opere dovettero subire i rinvii resi inevitabili dalla guerra. Così fu per la nuova Stazione Centrale, per l’Ospedale di Niguarda, per il Tribunale, che vennero realizzate molti anni dopo, sotto i podestà, durante il regime fascista. Nel cassetto rimasero il progetto di rete metropolitana (che venne concepito allora) e il “Porto” per un canale di collegamento con il Po (Milano-Cremona-Po-Adriatico). La politica di bilancio della giunta socialista, stretta da leggi che non prevedevano la progressività delle imposte, e dalla diminuzione delle entrate dei dazi di consumo, fu mantenuta in equilibrio dalla “sovrimposta” immobiliare (che fu contestata dai proprietari, che riuscirono a farla ridurre ma non a farla annullare) e da qualche taglio nelle spese, sì da ricevere, anche su questo piano, qualche apprezzamento dell’opposizione liberale.
Alla fine del suo mandato, verso le elezioni del 1921, Caldara benché sapesse che non sarebbe stato riproposto come sindaco dalla maggioranza rivoluzionaria del Psi milanese, accettò di guidare la lista che vinse nuovamente. Diventò sindaco Filippetti.

Un grande sindaco, un capo politico
La grandezza di Caldara fu di essere “il sindaco di tutti i milanesi” come sottolineò Turati, e di mostrare profonda conoscenza delle leggi e della macchina comunale. Fu un ottimo amministratore, ma andò oltre, dimostrandosi un politico attento, vera guida di una città europea. All’inizio del 1919 ricevette Woodrow Wilson a Palazzo Marino e gli dedicò un concerto alla Scala, richiamandosi, con un discorso di notevole levatura, ai 14 punti del Presidente americano, tra i quali l’affermazione della democrazia, il riconoscimento della giustezza della rivendicazione dell’eguaglianza economica e l’autodeterminazione dei popoli: si attirò per questo la riprovazione della maggioranza rivoluzionaria” della sezione socialista milanese (protagonista dell’intervento Filippetti!) che lo deferì alla direzione del partito”.