LA MOBILITAZIONE INDUSTRIALE


La mobilitazione industriale milanese si inserisce nella cornice dell’attività del Comitato regionale di mobilitazione industriale per la Lombardia e più in generale in quell’azione di mobilitazione complessiva della nazione resa necessaria dalle caratteristiche della guerra totale.
Strumento legislativo fu il R.D. 26 giugno 1915, n. 993, che riconobbe la facoltà di imporre e fare eseguire quanto occorreva ad incrementare le potenzialità del sistema produttivo privato e di dichiarare il personale soggetto alla giurisdizione militare. Viene così istituito il Sottosegretariato per le armi e munizioni a cui si devono due importanti provvedimenti: un organismo di mobilitazione industriale che provvedesse ai bisogni dell’esercito e della marina, e la nomina di una commissione di tecnici specialisti per il collaudo degli esplosivi e delle munizioni. A guidarne le attività fu posto il generale Alfredo Dallolio, prima sottosegretario e poi ministro per le armi e munizioni.
In questo quadro, la particolarità del caso lombardo si sostanzia non solo nell’importanza industriale del territorio ma anche nelle modalità di intervento del Comitato e nelle dinamiche di comportamento delle parti interessate: la Mobilitazione Industriale, creata per evitare il conflitto nelle fabbriche belliche, in realtà lo gestì, trasformandosi in uno strumento di modernizzazione delle relazioni industriali.

Da questo punto di vista, il primo conflitto mondiale rappresenta per Milano l’occasione per recuperare gli effetti della crisi economica che aveva avuto il suo apice nel 1911. Settori di punta di questa ripresa furono quello siderurgico-meccanico (basti pensare al caso Alfa, che si converte subito nella produzione di proiettili e munizioni arrivando a superare i 4.000 addetti) e quello chimico. Il dato che sintetizza questa fase di espansione è l’aumento della domanda di lavoro che si registra fin dal settembre 1915.
L’analisi dell’occupazione fornisce indicazioni anche sulla qualità dei processi produttivi e sulla struttura del mercato del lavoro. Cambiano le cifre ma anche le competenze e le figure richieste. Nell’anno iniziale del conflitto a Milano la richiesta di lavoro femminile è nel complesso superiore a quella maschile (7.726 donne contro 4789 uomini); negli anni 1914-1918 l’incremento delle donne immesse nel mercato del lavoro è pari al 58% e le operaie impiegate negli stabilimenti ausiliari rappresentano nel 1918 il 31% degli addetti. A fine guerra in alcune grandi fabbriche (Pirelli, Borletti, Stigler, Rubinetterie riunite) la quota di manodopera femminile costituiva la maggioranza dei lavoratori.
Il mutamento è di grande rilievo anche in considerazione dell’aspetto generazionale: l’ingresso dei ragazzi nel mondo del lavoro si ripercuote anche sul modo stesso di produrre poiché la mano d’opera non specializzata spinge e rafforza la parcellizzazione del lavoro e ciò genera una segmentazione dei processi. In altre parole, è la guerra che provoca l’avvicinamento del sistema industriale milanese, massicciamente investito dalle commesse statali, al fordismo e al taylorismo. Alla fine del conflitto si registrano 545 stabilimenti impegnati nella produzione bellica con 180.000 addetti.

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