LO SCENARIO

Lo scoppio del primo conflitto in Europa

La Prima guerra mondiale comincia ufficialmente il 28 luglio 1914 con la dichiarazione di guerra dell’Austria-Ungheria al Regno della Serbia e termina alle 11 dell’11 novembre 1918, quando entra in vigore l’armistizio firmato dai tedeschi a Compiègne: in quei 52 mesi saranno mobilitati, con tempi e distribuzione territoriale variabili, più di 70 milioni di uomini.
Tutto inizia con l’ultimatum dell’Austria-Ungheria alla Serbia, che si rifiutò di accettare la partecipazione del governo austro-ungarico alle investigazioni sull’attentato del 28 giugno a Sarajevo che aveva causato la morte dell’Arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono, e della moglie Sofia.
A seguito della dichiarazione di guerra si innestò la reazione a catena che portò all’estensione del conflitto, in considerazione dei due schieramenti che opponevano le potenze: la Triplice Alleanza (Austria-Ungheria, Germania, Italia) e la Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia, Russia).
La reazione fu velocissima: alla dichiarazione austriaca rispose la Russia con la mobilitazione delle truppe, che spinse a sua volta la Germania a dichiarare guerra allo Zar (1 agosto), a intimare al Belgio di far transitare le truppe (2 agosto) e poi a dichiarare guerra alla Francia (3 agosto), che nel frattempo si era mobilitata. I tempi della mobilitazione tedesca furono strettissimi come era d’altra parte previsto dal piano Schlieffen elaborato nel 1905 dallo Stato Maggiore tedesco per combattere la guerra su due fronti.
A seguito della violazione della neutralità del Belgio, la Gran Bretagna dichiarò guerra alla Germania il 4 agosto. In Oriente intervenne il Giappone contro i territori coloniali tedeschi (23 agosto) e nell’autunno entrò in guerra a fianco della Germania l’impero ottomano, costringendo la Russia a combattere anche sul fronte del Caucaso. Intanto tutta l’Intesa aprì il fronte in Medio Oriente. Nel 1915 entrano in guerra l’Italia (a fianco dell’Intesa, dopo il capovolgimento delle alleanze) e la Bulgaria (a fianco degli Imperi centrali). Con l’Intesa, nel 1916 si unirono il Portogallo e la Romania, e nel 1917 gli Stati Uniti e la Grecia. Da conflitto locale e europeo, la guerra assunse ben presto una dimensione mondiale, trasformando profondamente gli assetti geopolitici in Europa e in buona parte del mondo.
Nei diversi fronti, le operazioni si conclusero con tempi differenti: a cominciare da quello orientale con il trattato di Brest-Litovsk del 3 marzo 1918, che sancì anche il ritiro della Russia dal conflitto. A fine settembre anche la Bulgaria abbandonò le operazioni militari, seguita un mese dopo dall’Impero Ottomano, con la firma dell’armistizio di Mudros. Il 3 novembre è la volta dell’Austria, costretta a firmare con l’Italia l’armistizio di Villa Giusti, che entrò in vigore il 4 novembre, quando le truppe italiane entrarono a Trieste e a Trento.

La Grande guerra in Italia

Al momento dell’inizio del conflitto l’Italia, nonostante fosse legata all’Austria-Ungheria e alla Germania dal trattato della Triplice Alleanza (1882), non entra in guerra appellandosi al carattere difensivo del Trattato.
Nel paese si avvia un periodo di forte tensione tra coloro che volevano rimanere fuori dal conflitto e quelli che invece volevano intervenire. Ciascuno dei due schieramenti era composto da forze diverse tra loro. Una parte degli interventisti voleva entrare in guerra con le truppe della Triplice Alleanza, altri invece – rifacendosi al Risorgimento – spingevano per affiancare l’Intesa in funzione antiaustriaca. Dal punto di vista politico, un’altra divisione si registrava tra nazionalisti, democratici, sindacalisti rivoluzionari e il nuovo soggetto che si andava aggregando attorno a Benito Mussolini, espulso dal Partito Socialista per le sue posizioni interventiste. Punto di forza dello schieramento interventista era la posizione di Vittorio Emanuele III, deciso a far giocare all’Italia un ruolo importante nei futuri assetti politici europei.
Tra chi rifiutava l’intervento c’erano i socialisti, la parte dello schieramento liberale legata a Giovanni Giolitti, le forze cattoliche più vicine al Papa.
La spaccatura nel Paese registrò toni, motivi e protagonisti tali da aprire una stagione politica decisamente nuova, difficile e pericolosa; dalla concezione del nemico interno al rapporto tra piazza, Parlamento e procedure istituzionali, la guerra avrebbe trasformato in profondità linguaggi e pratiche della vita politica e sociale.
Sulla base di trattative condotte con l’Intesa (firma del Patto di Londra), l’Italia entrò in guerra con l’Austria-Ungheria il 24 maggio 1915. Nell’estate del 1915 il Regio Esercito aveva mobilitato 31.000 ufficiali, 1.058.000 uomini di truppa, 11.000 civili e 216.000 quadrupedi.
Oltre alla presenza limitata sul teatro balcanico, in Francia, in Libia, Siria e sui mari, l’impegno principale si concentrò sul fronte alpino, dal Passo dello Stelvio alla foce dell’Isonzo. Dopo il disastro di Caporetto, cambiato il Capo di Stato Maggiore, riorganizzato l’Esercito e modificato l’atteggiamento verso i combattenti, si passò, anche grazie all’apporto di truppe di rinforzo alleate, al contrattacco, che si concretizzò il 30 ottobre del 1918 con la presa di Vittorio Veneto che spinse l’esercito nemico allo sbandamento.

Milano 1914-1916

Sebbene si fosse schierato a favore del neutralismo, il Sindaco di Milano, Emilio Caldara, dal 24 maggio 1915 attiva la macchina comunale in un sforzo a sostegno della mobilitazione che non ebbe eguali per misura e per efficacia. Milano, infatti, ben prima del 1 novembre 1917 quando, a seguito della disfatta di Caporetto, verrà dichiarato lo stato di guerra, assunse un ruolo cruciale nella produzione industriale così come nell’assistenza ai civili e ai militari. Lo scoppio del conflitto confermò il suo rilievo nazionale. Dalla mobilitazione industriale a quella propagandistica, dalla assistenza civile a quella militare e medica, il capoluogo lombardo, pur con tutte le sue contraddizioni politiche e sociali (o forse proprio in virtù di quelle contraddizioni), si affermò sempre più come centro nevralgico del Paese. Forse addirittura la capitale italiana della modernità novecentesca, ben simboleggiata dal bombardamento aereo del 14 febbraio 1916 quando, per la prima volta, un’incursione austriaca provocò la morte di sedici cittadini di Porta Romana, inaugurando così per Milano e il Paese il secolo devastatore.
Ma accanto alla Milano socialista e neutralista, esiste una città dove l’interventismo si presenta più agguerrito che mai. Il 15 maggio 1915, all’Arena si svolge un’imponente manifestazione interventista alla quale accorrono più di 100.000 persone e che vede la partecipazione di Alceste De Ambris, Filippo Corridoni e Benito Mussolini. Nelle strade e nelle piazze, così come in quelle di altre città, nei giorni del “maggio radioso” le manifestazioni si susseguono e danno luogo, come avvenne all’Arena, a scontri con diversi feriti e talvolta anche morti. A Milano, il Consolato dell’Austria viene attaccato, mobili e documenti vengono dati alle fiamme tanto che bisognerà schierare l’esercito in sua difesa. Il clima di febbrile attivismo a favore della guerra trasforma i neutralisti (soprattutto socialisti) e molti cittadini italiani e stranieri in nemici della Patria. Nonostante le proteste di leader come Filippo Turati, i sospettati “filotedeschi” vengono allontanati dalla città o subiscono vere e proprie azioni di rappresaglia.
Nei dieci mesi della neutralità italiana, tra l’estate del 1914 e la primavera del 1915, il capoluogo lombardo è andato affermandosi come una piazza politica di primaria importanza. Un vero e proprio palcoscenico politico che, come aveva visto all’inizio del secolo, ben più di altre città, il diffondersi di manifestazioni operaie e sindacali con caratteri originali, confermava ora il suo ruolo di laboratorio nazionale e internazionale. Le piazze che all’inizio del secolo erano state invase e occupate dai manifestanti arringati da leader, vedevano tra il 1914 e il 1915 andare in scena nuove simbologie e retoriche di guerra.

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