ASSISTENZA PROFUGHI e CIVILI

Sin dal 1914, Milano si pone il problema delle inevitabili ricadute della guerra sulla popolazione civile e militare. Già nell’estate/autunno del 1914 la città deve fronteggiare una prima emergenza: il ritorno dei moltissimi rimpatriati. Dai paesi belligeranti rientrano infatti i lavoratori italiani, ai quali vengono forniti assistenza e aiuti da due istituzioni che tradizionalmente si occupano di emigranti, la Società Umanitaria (con la Casa degli Emigranti) e l’Opera Pia Bonomelli. Secondo un rapporto proprio dell’Umanitaria, venne fornita assistenza a 100.000 persone in fuga dall’Europa già in guerra.
Coerente con l’attivismo della società civile è l’enorme impegno profuso dall’amministrazione comunale guidata dalla Giunta socialista del sindaco Caldara che si dota dal maggio 1915 di un’apposita struttura, il Comitato Centrale di assistenza per la guerra, articolato in sette Uffici: l’Ufficio Primo si occupa di sussidi alle famiglie di militari, il Secondo di assistenza alla fanciullezza, il Terzo del collocamento dei disoccupati e dell’assistenza ai profughi, il Quarto della tutela degli interessi economici e personali dei militari, il Quinto dell’assistenza morale ai feriti e ai convalescenti, il Sesto di opere sussidiarie di assistenza sanitaria e infine il Settimo dei “soccorsi in via straordinaria a chi pel fatto della guerra si trovasse in condizioni di bisogno”. La varietà e il gran numero di iniziative messe in campo dai due comitati (spesso in collaborazione tra di loro) contribuisce a costruire una fittissima rete di assistenza ai cittadini che pone Milano all’avanguardia per quantità e qualità dei servizi erogati. Il “comune socialista” riesce, nonostante le grandi difficoltà, a strutturare un intervento razionale che prefigura un ruolo attivo dell’amministrazione locale nella gestione dei bisogni primari dei cittadini (beni alimentari di prima necessità, istruzione e assistenza all’infanzia, ecc.).
Già messa a dura prova da due anni di guerra, Milano affrontò dall’ottobre del 1917 la sua prova più difficile. Con la rotta di Caporetto, l’amministrazione pubblica e le associazioni cittadine (tra i quali anche l’Unione Femminile Nazionale) si impegnarono nell’assistenza 75.000 cittadini arrivati in città dalle terre invase.

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